Segni di Napoli. Tracce letterarie, linguistiche ed artistiche

Gent 23/04/2009


La Giornata si propone di illustrare luci e ombre della città di Napoli attraverso conferenze di intellettuali che si sono interessati ad aspetti diversi della cultura della città. Le conferenze daranno spazio sia agli aspetti storici, sia all'attualità della cultura napoletana.

La Giornata, dedicata in particolar modo agli studenti e agli studiosi di letteratura e linguistica italiana, è aperta a tutti gli interessati.

 

Programma

ore 9:30: apertura

ore 9:30 - 10:30: Intervento dello scrittore Raffaele La Capria

ore 10:45 - 12:15:
prof. Cesare de Seta (Istituto italiano di Scienze umane, Firenze - Università degli Studi di Napoli 'Federico II') (profilo bio-bibliografico)
"L'immagine di Napoli tra Quattrocento e Settecento: dalla Tavola Strozzi a Giovan Battista Lusieri"

ore 12:15 - 14:00: pausa

ore 14:00 - 15:30:
prof. Nicola De Blasi (Università degli Studi di Napoli 'Federico II')
"Il napoletano in città" (abstract)

ore 15:30 - 16:00: pausa caffè

ore 16:00 - 17:30:
prof. Daniela Lepore (Università degli Studi di Napoli 'Federico II')
"Napoli: bella, sporca (e forse anche) cattiva" (abstract)

17:30: Conclusioni

 

Manifesto

Nota bio-bibliografica prof.de Seta

Cesare de Seta, storico dell’arte e dell’architettura moderna e contemporanea, insegna all’Istituto italiano di Scienze Umane, Firenze, dirige il Centro Studi sull’iconografia della città europea all'Università di Napoli Federico II e ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, Parigi e in altri sedi in Europa e nel Stati Uniti come visiting professor.
Ha pubblicato numerosi volumi tradotti in diverse lingue: si segnalano tra gli altri Napoli fra Rinascimento e Illuminismo, Electa Napoli, 1996³, Napoli tra Barocco e Neoclassico, Electa Napoli, 2002, L'Italia del Grand Tour da Montaigne e Goethe, Electa Napoli, 1998³, La città europea dal XV al XX secolo, Rizzoli, 1996², Luigi Vanvitelli, Electa Napoli, 1998, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Bollati-Boringhieri, 1999, Le architetture della fede, Bruno Mondadori, 2003, Il mito dell’Italia e altri miti, Utet 2005, Hackert, Electa Napoli, 2005, Il Secolo della borghesia, Utet, 2006, Roma. Cinque secoli di vedute, Electa Napoli, 2005, Le lettere e le arti, Aragno, 2006, Viale Belle arti. Maestri e amici, Bompiani, 2006². Dirige per gli Editori Laterza la collana “Le città nella storia d’Italia” e ha curato per la Storia d’Italia, inaudi i volumi degli Annali, Il Paesaggio e Insediamenti e territorio.
Ha curato grandi mostre in Italia e all'estero: tra le ultime Imago Urbis Romae, Musei Capitolini, 2005 e Jacob Philipp Hackert, Reggia di Caserta, 2007.
Ha pubblicato quattro romanzi Era di maggio, Rusconi 1991, La dimenticanza, Pironti 1994, Terremoti, Aragno 2003, finalista al Premio Strega, Quattro elementi, Avagliano 2007 e un volume di racconti Viaggi controcorrente, Aragno 2007, Premio Estense.
Collabora a “La Repubblica" e a “L’Espresso”.

 

Abstracts

"Il napoletano in città"
Nicola De Blasi - Università degli studi di Napoli "Federico II"

Quando si studia la realtà linguistica di una città è opportuno tener conto della sua vicenda storica, che mette in luce alcuni aspetti del presente come risultato di un processo di eventi e delle modificazioni subite nel tempo. Inoltre, se è vero che le lingue possono essere studiate in sé, nelle loro strutture o in rapporto a parlanti "ideali", è senz'altro vero che esse esistono come strumento di comunicazione in uno spazio concreto tra parlanti reali. Nel caso specifico, nel quadro della città di Napoli, si nota che la varietà linguistica napoletana è molto usata nella comunicazione quotidiana. In rapporto alla storia linguistica italiana questo elemento non deve essere considerato ovvio, poiché molte città italiane presentano una situazione completamente diversa con una minore vitalità delle varietà locali tradizionali. Pertanto è utile domandarsi quali siano le condizioni storiche e sociali che hanno favorito e favoriscono tuttora la buona conservazione del napoletano nell'uso, anche in presenza di spinte innovative e in un quadro in continua evoluzione. In questa prospettiva, infine, è il caso di domandarsi se, e in quale senso, si possa parlare di una variazione diatopica all'interno della città.

 

"Napoli: bella, sporca e (forse anche) cattiva"
Prof. Daniela Lepore - Università degli Studi di Napoli 'Federico II'

Negli anni '90, guardandola dall'esterno, molti osservatori europei (e anche oltre-europei), erano tornati ad occuparsi di Napoli, e a parlarne bene. La città era sembrata a tanti investita da un processo di generale riqualificazione, spesso definito addirittura "Rinascimento".
Nota fino a pochi anni prima soprattutto come patria della camorra, la città sembrava infatti avere riscoperto una sua antica e nobile identità e sembrava volere affrontare così la crisi che investiva tutte le città industriali. Intraprendendo un percorso di valorizzazione delle sue grandi risorse - culturali ma anche sociali e umane - destinato a riportarla fra le metropoli di successo: un posto tra i più piacevoli e competitivi. Con il nuovo millennio, è invece rapidamente e prepotentemente tornata sulle scene l'immagine di una città allo sbando, incapace perfino di risolvere il problema di come "trattare" i propri rifiuti. Le immagini delle strade invase dai sacchetti di spazzatura e dei più bei siti naturali invasi da cumuli di "ecoballe" - quando non direttamente di rifiuti tossici e pericolosi depositati lì clandestinamente - hanno fatto il giro del mondo. E hanno favorito una crisi, tuttora non superata, della nuova "industria" del turismo, su cui si era puntato. La "stranezza" di questa dinamica ha suggerito varie ricerche e interpretazioni, a cui si farà cenno nell'intervento.
Verrà poi proposto un secondo livello di lettura delle vicende recenti della città, dove si prova a mettere in relazione le dinamiche di questi anni con certe tendenze di lunga o anche lunghissima durata. Perché, da questo punta di vista, Napoli appare come un luogo (e una società) oscillante quasi "per natura" tra splendori e miserie, e straordinariamente resistente a ogni cambiamento.
Con la Napoli "gentile" e "nobilissima" della letteratura (varia) sulla città ha, infatti, sempre convissuto - a ben guardare - la Napoli abitata da un popolo "più popolo" di altri, afflitta dalla sua ineliminabile plebe - i "lazzari" - o anche incapace di produrre una moderna borghesia, con tutti i suoi usi e luoghi. E questa compresenza si è perfino tradotta in immagini e stereotipi molto noti: dal "paradiso abitato dai diavoli", ancora e spesso evocato anche a proposito delle crisi attuali, fino alla interpretazione di Pierpaolo Pasolini, della città come luogo dell'ultima tribù, votata ad estinguersi pur di non trasformarsi.
Il rapidissimo passaggio dal presunto Rinascimento all'attuale crisi, allora, può essere ripensato, in questa chiave, come una ulteriore manifestazione dell'atteggiamento melanconico della città. Che non può (o non sa) diventare "moderna" perché in fondo non ha mai davvero "fatto i conti" con il suo passato e dunque resta come paralizzata da una sorta di paura delle trasformazioni. Che potrebbero portarla a perdersi, piuttosto che a cambiare (in meglio).